PILAR COSSIO/ «La sal» EXHIBITION – Paolo Tonin Artecontemporanea.TURIN-Italia, 2006 / DANIEL SOUTIF presentation

La sal. Oggetti quotidiani si trasformano in feticci, le grandi immagini fotografiche sono “istantanee» di una assenza perseguita, di un altro da se che sfugge al definito. A cura di Daniel Soutif.

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COMUNICATO STAMPA
La sal

A cura di Daniel Soutif

Nella kermesse di fine settembre che apre a Torino con 20 inaugurazioni contemporanee la stagione 2006/7, il ritorno di Pilar Cossio, presente in citta’ nella seconda meta’ degli anni 90 ,segna un passaggio importante.

La Sal e’ il titolo della mostra, curata da un altro a suo tempo italiano d’adozione, Daniel Soutif direttore per alcuni anni delmuseo Pecci di Prato, ed e’, anche parafrasando, non solo il sapore ma l’ingegno, l’intelligenza dell’Arte che nell’opera di Pilar si esprime per passi laterali: un tutu’ librato in aria si specchia nello stagno -di Ofelia?-, cosi’ come nei segni di Borderline che Soutif descrive: “A guardarli troppo a lungo, ecco che quasi se ne perde il significato iniziale e diventano capelli, corsi d’acqua forse, fiume».

Oggetti quotidiani si trasformano in feticci, le grandi immagini fotografiche sono “istantanee» di una assenza perseguita, di un altro da se che sfugge al definito,e’ la donna stessa “che ormai liberata dalla gravita’ galleggia nell’aria circondata da un alone di luce mentre a terra uno specchio circolare trasforma il suo disotto in abisso».

Paolo Tonin arte contemporanea
via San Tommaso, 6 – Torino

LA DANZATRICE E LO SPECCHIO /DANIEL SOUTIF

Tra le opere di Pilar Cossio, c’è uno strano disegno sul quale si vede un abito di donna. L’inquadratura scelta dall’artista concentra lo sguardo sul busto e la pelvi della modella. La vita marcata da una leggera cintura elegantemente annodata divide il foglio a mezza altezza e fa slittare l’immagine verso sinistra, come se un errore di mira non avesse per poco fatto sfuggire il motivo dall’inquadratura. Curiosamente i tratti, d’altra parte piuttosto esili, vengono invece ad accumularsi come per effetto di una compulsione, fino a formare una macchia scura proprio nella parte del tessuto dove la stoffa, uno scialle incrociato sul petto, sposa il seno sinistro di questo corpo femminile che, pur appena schizzato, si annuncia e già ci attira. Accumulati in lunghe onde che sembrano nascere dal bordo superiore destro, i tratti che così concentrano tutto il peso di questa singolare immagine prendono velocemente una sorta di autonomia. A guardarli troppo a lungo, ecco che quasi se ne perde il significato iniziale e diventano capelli, corso d’acqua forse, fiume. Questo motivo così dinamico probabilmente porterebbe via tutta l’immagine nel suo flusso se non fosse interrotta seccamente dalla verticale che marca il suo incontro con l’altra metà del vestito, quella che, simmetricamente, copre, ma con molta più discrezione, il seno destro. A questo disegno, la cui apparenza modesta si rivela quindi rapidamente un inganno, delle altre linee, pur dotate di un presenza minore, vengono ad aggiungere un’altra sfasatura, stavolta di natura paradossalmente fotografica: a destra, le forme del corpo della donna, o più esattamente del suo vestito, sono raddoppiate come sotto l’effetto di uno di quei movimenti non controllati che ci succedono quando fotografiamo. Per dire la verità, Borderline (poiché tale è il titolo di questo disegno) non è l’unica opera di Pilar Cossio appoggiata su questo genere di raddoppiamento dell’immagine. Certi altri disegni ne mostrano una forma diversa, come l’immagine di bambina intitolata Autour les choses o, più chiaramente ancora, l’opera, effettivamente fotografica questa volta, Hamburg II, nella quale si vede un’umana (un androgino, un uomo?) tagliata verso l’alto al livello delle labbra, verso il basso alla nascita superiore del petto.

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Tali immagini possono aiutare a riassumere alcuni dei sentimenti che l’arte di Pilar Cossio non può non suscitare: i corpi si rivelano allo spettatore solo sotto il regime dell’assenza o dell’eclisse, spariti o in corso di sparizione, portati via da uno spostamento continuo che di loro non lascia altro che traccie sfuggenti o, quando sono più stabili, solamente metonimiche. Tornerò fra un istante su quest’ultimo punto, ma solo dopo aver sottolineato che, in ogni modo, rarissimi sono i visi e che, quando accade che ne appaia uno (come quello della ragazzina di Autour les choses), sembra come preso da una vertigine interiore, che lo proietta a una distanza ancora più insuperabile, come se fosse parte di un altro mondo diafano. (Nel caso di Autour les choses, quest’impressione si vede inoltre accentuata dalla sovrimpressione poiché il disegno è ricoperto da una immagine forse fotografica che mostra una casetta di montagna e un abete.)

Solo in quest’altro mondo — rubato al tempo e vivo unicamente nella memoria — potremmo ritrovare finalmente queste donne di cui non ci rimangono che tali resti metonimici, e, particolarmente, questi scarpini preziosi, magici, cinti da un’aura chirurgica (plexiglas, morse aggressive), che Pilar Cossio esibisce senza tregua. Alcuni non mancherebbero di evocare la tradizione freudiana riguardante queste esibizioni fredde ma intense e, in particolare, l’articolo del 1927 nel quale figura la famosa dichiarazione del fondatore della psicoanalisi: «Probabilmente deluderò dicendo che il feticcio è un sostituto del pene». Comunque, anche se accompagnata della precisazione immediatamente successiva, secondo la quale il feticcio non è il sostituto di un pene qualunque, ma quello «del fallo della donna (la madre) al quale il piccolo bambino ha creduto e al quale, sappiamo perché, non vuole rinunciare», anche se più avanti nel testo, Freud spiega che piede e scarpe sono «i feticci preferiti» precisamente perché « il ragazzino ha spiato l’organo genitale della donna da sotto, partendo dalle gambe», una lettura freudiana delle opere di Pilar Cossio non mancherebbe di scadere nell’aneddottico e nel cliché. Certo, la metonimia in cui si elaborano ripone effettivamente sull’assenza, ma non necessariamente quella risultante della castrazione, questo cosidetto destino alla rovescia della femminilità. E, se bisogna ad ogni costo evocare il feticismo, allora conviene prenderlo dal suo versante magico, anteriore al freudismo, in tal senso così bene percepito da Binet, altro medico dell’anima secondo il quale «tutti sono più o meno feticisti in amore» e che, secondo la lettura di J.-B. Pontalis, ha saputo riconoscere «nel feticismo sessuale piuttosto che un’aberrazione dell’amore, il suo segreto ». Così inteso il feticcio giustifica la nostra adorazione, come il supposto primitivo adora il suo in virtù dei poteri misteriosi che gli attribuisce.

In altri termini, nell’arte di Pilar Cossio, è la donna stessa, non il suo pene sezionato, a essersi allontanata, volata via dai suoi scarpini così graziosi, come la danzatrice di Pavana, che, fuggita dal suo tutù, ormai liberata dalla gravità galeggia nell’aria circondata da un alone di luce mentre a terra uno specchio circolare trasforma il suo disotto in abisso. Chissà che d’altronde, per mancarci ormai in eterno, la danzatrice non sia scappata proprio attraversando quello specchio?

Daniel Soutif /Paris 2006

inaugurazione 19, 20, 21 settembre dalle ore 18,30 alle 21
fino al 20 ottobre 2006

PAOLO TONIN ARTE CONTEMPORANEA

Palazzo Della Chiesa di Roddvia San Tommaso, 6
10123 Torino Italia
tel +3901119710514
fax.+3901119791494

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TORINO ART GALLERY. SETIEMBRE 2006

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TORINO ART GALLERY. SETIEMBRE 2006

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TORINO ART GALLERY. SETIEMBRE 2006

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